Quale impronta formativa nei nostri studenti? Scuole a reattività differenziata?
A cura della Dott.sa Francesca Brusati
Leggendo la newsletter di Coursera, nota azienda statunitense che opera nel campo delle tecnologie didattiche fondata da alcuni docenti dell’Università di Stanford, mi sono imbattuta in un breve articolo dal titolo “Think K-12 is going online? Think again”, ossia “Pensi che (gli studenti) K-12 stiano andando online? Pensa ancora” in cui con K-12 si intendono (il sistema educativo americano è strutturato in modo differente da quello italiano) gli studenti dalla primaria alla secondaria.
L’articolo parla di come alcune scuole statunitensi non abbiano risposto in modo efficace all’emergenza (anche scolastica) limitando la loro presenza online per il solo fatto che si stanno preparando a finire l’anno per poi tornare in autunno alla cara vecchia didattica. Inoltre, continua dicendo che i pochi materiali messi a disposizione degli studenti non sono accattivanti ed efficaci come dovrebbero. Sempre lo scritto sottolinea come contenuti di alto valore comunicativo e in grado di creare maggiore interazione tra la classe siano in grado non solo di intensificare gli scambi tra docente e discenti, ma anche di attivare l’apprendimento.
Attraverso un giro di messaggi (cerco sempre di sapere come stanno i nostri studenti e come stanno
affrontando la scuola di questo periodo) è emerso che alcuni sono soddisfatti
del tipo di risposta ottenuta, mentre altri si sentono un po’ abbandonati a
loro stessi: ingozzati da una serie interminabile di compiti e “accompagnati” da
power point in cui si sente in sottofondo la voce dell’insegnante, lezioni registrate
in cui non vi può essere interazione con la docente per domande (da ambo le
parti) o per permettere una didattica attiva in grado di coinvolgere gli
alunni.
Il breve sondaggio (sempre che di questo si possa parlare e, comunque,
consapevole dell’impossibilità di validarlo scientificamente sia perché
quantitativamente esiguo sia perché non strutturato come ricerca) è stato condotto
coinvolgendo una fascia scolastica dalla primaria alla secondaria di secondo grado.
Sembra che le care superiore (alcune) si siano mosse attivando maggiori risorse
didattiche, professionali e personali dei docenti. Le più svantaggiate sembrano
essere le scuole intermedie, la secondaria di I grado, che ha avuto un po’ di
difficoltà a rispondere al momento di emergenza.
A seguito di questo mi sono chiesta (la mia ha valenza di una sola riflessione):
se già nel mondo scuola gli istituti si differenziano a livello qualitativo
nella didattica creando di fatto dei differenti esiti formativi negli studenti,
questa situazione di crisi contribuirà a rendere ancora più ampia la forbice culturale-formativa?
Scuole a reattività differenziata possono creare degli enormi gap nella
popolazione giovanile. Nello specifico immagino chi il prossimo anno dovrà
accedere ad un nuovo ordine scolastico ( il mio pensiero va ai ragazzi che quest’anno
dovranno sostenere l’esame conclusivo del I ciclo di studi): quale e quanta eterogeneità
nelle classi di nuova formazione?
A tale proposito -sempre prendendo spunto dall’articolo letto – mi chiedo se la
situazione Coronavirus ci imporrà queste misure (non effettivamente così restrittive,
si spera) in vista di uno strascico di paura e di necessità di sicurezza nei
primi mesi del futuro anno scolastico. Alcune università ( ecco la fonte: https://www.insidehighered.com/digital-learning/article/2020/04/01/preparing-quietly-fall-semester-without-person-instruction?utm_source=Inside%2BHigher%2BEd&utm_campaign=4525c6a2e6-DNU_2019_COPY_02&utm_medium=email&utm_term=0_1fcbc04421-4525c6a2e6-197661521&mc_cid=4525c6a2e6&mc_eid=8c4fe97755
) si stanno preparando per un semestre autunnale virtuale, dovrebbero farlo
anche tutte le scuole? Allora forse è il caso di ripensare al nostro modo di
essere online con gli studenti ed iniziare a preparare una significativa presenza
anche in caso di distanza.